Bioplastiche: quali sono?
Il consumo di plastica e il suo smaltimento sono una delle grandi sfide della questione ambientale. In questo senso, l’Europa sta muovendo passi importanti con la messa al bando dei sacchetti di plastica nel 2012 e recentemente con l’abolizione degli oggetti di plastica monouso. Negli anni si è cercato di trovare delle valide alternative ai polimeri derivanti da fonti fossili, specialmente per la plastica e una risposta è arrivata dalle bioplastiche.
È difficile però, distinguere le varie tipologie di bioplastica, dato che ne esistono molte varietà, tutte diverse e non tutte sono al cento per cento ecologiche. Bisogna però sottolineare come, ad oggi, non esista una legge europea che precisi l’etichettatura ambientale per la bioplastica, se non le diciture EN13432 e EN14995, che delineano solo la plastica biodegradabile e compostabile. Specifichiamo infatti che una bioplastica non è per forza biodegradibile, non è necessariamente costituta al cento per cento da materia prima rinnovabile e può contenere anche parti di plastica “normale” (cioè da componenti fossili). Solo alcune bioplastiche infatti si degradano naturalmente in natura, con tempistiche tali da evitare sia l’accumulo che i danni all’ambiente o agli animali che ne vengono a contatto.
Di bioplastiche ne esistono numerosi tipi, che però possiamo suddividere in 3 macrocategorie:
- BIO-BASED: si può chiamare biobased solo se il materiale è interamente o parzialmente ricavato da biomassa vegetale, sostituendolo agli elementi di origine fossile. I casi più famosi sono il “Mater-Bi” e il PLA, l’acido polilattico;
- BIODEGRADABILE: hanno sempre insegnato, molto semplicemente, che un elemento biodegradabile si “dissolve in natura”. Non è sbagliato, ma occorre fare alcune distinzioni. La biodegradabilità dipende dalla struttura molecolare del prodotto finale e non dalla provenienza delle materie prime impiegate per la produzione della bioplastica. Esistono infatti, materiali di origine vegetale come il Bio-PET o il Bio-PE con una struttura che non ne permette la biodegradazione e materiali che derivano da materie prime non rinnovabili, come ad esempio il PBS (polimero semicristallino fabbricato tramite la fermentazione batterica) che invece può esserlo;
- COMPOSTABILE: un materiale compostabile deve avere alcune caratteristiche molto precise per essere denominato in questo modo. Deve degradarsi del 90% in 6 mesi e in frammenti piccolissimi (circa 2mm), non deve avere effetti negativi sul processo di compostaggio e deve avere una concentrazione di metalli estremamente bassa o inesistente. Tutti questi criteri fanno parte dei principi di compostabilità contenuti nella norma europea EN13432.
“Realizzato nell’ambito del Programma generale di intervento della Regione Emilia-Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2018”.