Crac CaRiFe: una triste storia
Cassa di Risparmio di Ferrara è viva e lotta, proprio mentre va ad estinguersi e si trasforma in un’altra cosa.
È curioso e teatralmente drammatico il meccanismo che la farà vivere il tempo necessario per diventare un’altra cosa. Più di 1/3 dei dipendenti accetta di licenziarsi (con un incentivo) per consentire agli altri di tenere in piedi il proprio lavoro e la banca, tuttora in pesante squilibrio costi-ricavi. Non sono bastati 350 uscite in tre anni e venti giorni di solidarietà non pagata a testa per riportare la banca in equilibrio. Non sono bastati perché in questi tre anni la banca ha perso volumi e clienti in misura più che proporzionale.
I germi della caduta sono annidati dentro l’acme dell’ascesa, situato tra il 2006 ed il 2008. È in questo momento che l’espansionismo estense raggiunge il suo massimo livello. Dopo aver acquistato una società di leasing napoletana, una banca locale romana, una veronese, una romagnola ed una modenese, una parte consistente della nuova raccolta viene impiegata per alcune spregiudicate operazioni, delle quali la più nota è quella degli investimenti immobiliari milanesi Miluce e Santamonica: totale circa 140 milioni che non rientrano. Altri 80 milioni non rientrano da Acqua Marcia Immobiliare. È così che Carife entra in sofferenza profonda. I dipendenti e i risparmia-tori, oltre a tutto il territorio – anche se oggi pare scongiurato, per un soffio, il rischio di chiusura, che si sarebbe portato dentro il fosso una parte consistente dell’economia locale, già ferita dal terremoto, dalla crisi — vengono messi in ginocchio. La Banca viene obbligata da Bankitalia a fare un aumento di capitale di 150 milioni, che si concretizza miracolosamente nel 2012. Migliaia di ferraresi ci credono ancora e comprano le azioni ed è qui che inizia il crollo: Senza che sia successo nulla di ulteriore, la banca con 150 milioni di più in forziere viene commissariata da Bankitalia: una delle causali è “gravi perdite patrimoniali”, una beffa per i cittadini che vedo-no il valore dell’investimento azzerato. L’emorragia dei depositi ed il conseguente taglio dei crediti asciugano i volumi della Cassa sino ad essiccarla; nessuna riduzione di costi, per quanto ingente, riesce a correre dietro a questa emorragia, dovuta alla caduta di fiducia ed alla paura della clientela. L’altro dramma decisivo si dipana quando, dopo aver previsto un aumento di capitale finanziato dal Fondo Interbancario, questi soldi non arrivano, la clientela ricomincia ad insospettirsi e riparte l’emorragia di depositi. Dopo aver tentato una serie di interventi mal riusciti, la diagnosi è crudele: il paziente è morto. Questa triste storia sta per avere il suo epilogo, drammatico ma non tragico, grazie a sindacati fin troppo responsabili ed al senso civico di una parte dei dipendenti; l’uscita dalla banca la pagheranno (pur incassando una cifra apprezzabile) soprattutto le donne con figli.