L’importanza del Rapporto Medico-Paziente e la sua complessità
Secondo quanto affermato dal famoso Giuramento di Ippocrate, il medico ha il dovere, prima di tutto morale, di rispettare l’impegno preso verso il prossimo e verso la professione.
Il tipo di relazione che si viene ad instaurare tra medico e paziente dipende ed è caratterizzata da molteplici fattori di carattere storico, sociale e culturale.
Oggigiorno viene evidenziato da più parti il fatto che i pazienti sono moto diversi dal passato. I medici e le istituzioni sanitarie si trovano di fronte pazienti più adeguatamente informati sui problemi relativi alla salute, sulle malattie, sulle terapie ed i tipi di cure da seguire.
Di fronte a tale trasformazione dell’atteggiamento tradizionalmente passivo e remissivo del paziente, si assiste spesso ad una maggiore chiusura, in senso difensivo, dei professionisti e delle istituzioni sanitarie.
Il rapporto duale tra il medico e il paziente non può più essere improntato alla unilateralità con il professionista che impartisce indicazioni diagnostico-terapeutiche ed il paziente che si limita ad eseguirle in maniera critica e passiva.
Il processo comunicativo che sta alla base di tale relazione deve essere improntato allo scambio ed alla co-produzione delle informazioni e, per questa ragione, appare evidente l’importanza di investire in un tipo di relazione intersoggettiva che ruota intorno alla persona nella sua integrità psico-fisica. Medici e pazienti, dunque, devono diventare soggetti interagenti all’interno di un processo collaborativo e di co-produzione di senso, animati da un comune obiettivo: la salvaguardia ed il recupero della salute individuale e collettiva.
Un trattamento clinico corretto è il primo passo per il successo di una terapia, ma non bisogna trascurare quanto siano importanti anche gli aspetti emotivi. La persona che si trova in difficoltà e a volte perde autonomia deve sentirsi capita e accolta. E nello stesso tempo deve avere fiducia nelle scelte del medico curante.
Saper ascoltare e scegliere le parole giuste fanno spesso la differenza fra professionisti. Il medico deve avere l’umiltà di ascoltare il paziente. In molti casi potrà imparare da lui, in altri casi dovrà correggerlo. Parlare con il paziente è una grande occasione per conoscerlo, per capire meglio il contesto in cui vive e con quali modalità si pone rispetto alla sua malattia.
Ma per ricostruire questo rapporto serve tempo e negli studi di medicina generale, ma anche negli ospedali, le visite durano spesso pochi minuti. Un fattore che rende la relazione fra chi cura e chi è curato sempre più impersonale. In Europa i medici dedicano complessivamente troppo poco tempo all’incontro con i malati e la fretta è la cosa che viene più spesso rimproverata loro. Alcune ricerche hanno mostrato che in media il paziente che racconta la propria storia al medico viene interrotto per la prima volta dopo 20 secondi.
L’opinione di molte persone nei confronti della medicina e dei medici non è positiva ormai da molto tempo. Ma è possibile intervenire per ricostruire la fiducia fra camice bianco e assistito. Oggi il medico può apparire come un acrobata, intento a eseguire, sulla corda, i suoi esercizi di tecnologia applicata: gli acrobati non sono interessati a conoscere l’identità degli spettatori, lavorano per un applauso collettivo e non per la felicità dei singoli. Ma una via d’uscita potrebbe essere quella che suggerisce al medico di dar voce ad alcune delle sue piccole virtù, virtù che certamente possiede come la pazienza, la prudenza, la capacità di ascolto, il rispetto per la volontà del malato, la comprensione dell’importanza dell’aggiornamento, la consapevolezza delle proprie responsabilità, l’umiltà. Si tratta in fondo di un modo semplice e alla portata di tutti di interpretare ‘l’etica della cura’”.