Made in Italy: è il Nord America il territorio da conquistare
Gli Stati Uniti sono il primo acquirente al mondo di prodotti agroalimentari: ecco perché per una potenza del settorecome l’Italia, restano un mercato da conquistare al meglio. Con un valore superiore ai 130 miliardi di euro, gli Usa rappresentano il primo mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari. Al secondo posto figura l’Unione Europea (considerata ancora a 28 membri) con 112 Miliardi, mentre tra i restanti paesi più rilevanti risultano Cina (92 Miliardi di euro di import), Giappone (59 Miliardi) e Canada (32 Miliardi di euro).
I consumatori americani sono appetibili innanzitutto per il loro potere d’acquisto: con redditi medi pro-capite compresi tra i 42.000 e i 57.000 dollari annui – contro i 31.000 di quelli italiani – e previsti ulteriormente in crescita di oltre il 14% nei prossimi cinque anni, sono un cliente da corteggiare. Eppure oggi la nostra quota misurata sull’import del paese è ancora marginale (3,4% negli Usa, 2,6% in Canada).
Uno studio di Nomisma e Crif spiega proprio su queste basi perché le potenzialità di crescita sono tante, alla luce del posizionamento e della reputazione di cui godono i nostri prodotti presso i consumatori di questi due paesi.
I prodotti tipici del “Made in Italy” alimentare rappresentano la principale componente dell’export verso questi due paesi: vino, olio d’oliva, formaggi e pasta pesano per circa il 65% sulle esportazioni agroalimentari complessive e contribuiscono in primis ad una bilancia commerciale positiva che, considerata congiuntamente (Usa+ Canada) presenta un saldo di 3,2 Miliardi di euro. “Il consumo di food&beverage italiano è ancora fortemente concentrato negli Stati costieri degli USA, che presentano i maggiori consumi pro-capite, mentre il Made in Italy risulta poco diffuso nel Mid-West e nelle altre zone centrali del Paese” dichiara Andrea Goldstein,chiefeconomist di Nomisma, sottolineando così i potenziali margini di sviluppo ancora esistenti per le nostre esportazioni.
I ricercatori hanno allora indagato gli usi di 2.500 consumatori americani suddivisi tra gli stati di New York, California e l’area del “Mid-West” (Illinois, Michigan e Ohio). I prodotti italiani sono conosciuti e oltre il 10% dei consumatori possono essere definiti “authenticuser”, vale a dire persone in grado di indicare brand di aziende italiane, che consumano prodotti del “Made in Italy” anche tra le mura domestiche e che si dicono disposte a spendere di più per un prodotto del Belpaese. “La survey ci ha permesso di definire l’identikit dell’authenticuser di prodotti alimentari italiani” dichiara Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma. “Nel caso degli Usa, si tratta di un consumatore con reddito familiare alto, che vive a New York, di età compresa tra 36 e 51 anni, con alto livello di istruzione e che segue corsi e programmi TV di cucina”. Per quanto riguarda invece l’authenticuser del Canada, si connota sempre per un reddito familiare alto, con età media più elevata rispetto al collega americano (tra 52 e 65 anni), che utilizza internet per informarsi sui prodotti alimentari e che anche in questo caso segue programmi Tv dedicati alla cucina.
Insomma, le opportunità per i produttori alimentari italiani ci sono e vanno colte tenendo ben presenti queste differenze e peculiarità, soprattutto quando si tratta di implementare le giuste strategie di internazionalizzazione. Da questo punto di vista, il mercato Nord americano offre ulteriori vantaggi. Come sottolineato da Niccolò Zuffetti, la rischiosità commerciale del settore F&B negli Stati Uniti è mediamente inferiore a quella dei nostri maggiori partner europei e sempre più bassa di quella italiana, soprattutto nel commercio all’ingrosso (rischiosità sotto la media nel 55% delle imprese Usa) e nel dettaglio (sotto la media nel 74% dei casi). Questa bassa rischiosità commerciale unita alla presenza di un altissimo numero di player rappresentano una chance importante per le nostre imprese del F&B pronte ad esportare, pur in un contesto caratterizzato da una maggiore concentrazione d’impresa rispetto alla prevalenza di micro-operatori in Italia.
“Realizzato nell’ambito del Programma generale d’intervento della Regione Emilia Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2015”