Sicurezza dei prodotti alimentari: torna l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione
Torna l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione o confezionamento dei prodotti alimentari. Ieri, 15 settembre, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo che reintroduce l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento degli alimenti in etichetta. Si tratta del terzo provvedimento (i primi due schemi di decreto erano stati notificati a Bruxelles) prodotto in materia ed è comunque prevista la notifica e l’assenso della Commissione europea.
Il decreto prevede, per tutti i prodotti alimentari preimballati, l’obbligo dell’indicazione sull’etichetta della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, al fine di garantire, oltre ad una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo e una più efficace tutela della salute.
È inoltre previsto un rafforzamento e una semplificazione del sistema sanzionatorio e affida la competenza per sanzioni all’Ispettorato repressione frodi. Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale. L’obbligo di etichetta era già previsto dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare.
«Un impegno mantenuto – ha commentato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina – nei confronti dei consumatori e delle moltissime aziende che ne hanno chiesto il ripristino. Continuiamo il lavoro per rendere sempre più chiara e trasparente l’etichetta degli alimenti, una chiave fondamentale di competitività e utile per la migliore tutela dei consumatori. I recenti casi di allarme sanitario ci ricordano quanto sia cruciale proseguire questo percorso soprattutto a livello europeo».
Sull’indicazione dello stabilimento dell’etichetta sono d’accordo anche gli industriali che però obiettano sul disallineamento competitivo del provvedimento: l’obbligo infatti scatterà solo per chi produce o confeziona in Italia ed esclude i player con stabilimento all’estero ma commercialmente operanti anche nel nostro Paese.
Prima di arrivare al decreto legislativo di ieri, ne erano stati presentati due a Bruxelles: il primo era stato notificato il 4 aprile 2017 ma congelato dalla Commissione (perchè non conforme al regolamento Ue n. 1169/2011), ritirato dal Governo italiano e poi corretto e ri-notificato lo scorso 3 agosto specificando che l’obbligo di etichetta riguardava i prodotti trasformati preimballati ad esclusione di quelli imballati, sostanzialmente quelli per la vendita diretta. Con una rimodulazione dell’ammontare delle sanzioni.
Ma anche su questo decreto Bruxelles avrebbe obiettato che la distinzione fra prodotti preimballati trasformati e non trasformati non è corretta: la Commissione per “tipi e categorie specifiche di prodotti” identifica specifiche categorie merceologiche. Inoltre veniva indicato che la strada per formulare la richiesta di mantenimento dell’obbligo è nell’art. 114 del Trattato e nelle giustificazioni dell’art. 36.
Quali le giustificazioni? Moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, tutela della proprietà industriale e commerciale o protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro.